Un racconto lungo? Un romanzo breve? Un memoriale? Una storia di fantasia? Niente di tutto ciò e un po' di tutto ciò. "Angelica e Leo, il Moscero e il Nero, Armuà e... Cerbero" è un pezzo di vita. Di vita partigiana raccontata da un partigiano.
Ammetto di non poter essere oggettivo nella recensione. Enio Sardelli, il partigiano "Foco", è una persona a cui mi sento legato.
Lo chiamai per un'intervista, nel marzo scorso. Siamo stati tre giorni al telefono. Mi raccontò tanti di quegli episodi da scriverne non un articolo, ma un libro. Una serie di libri, forse.
Il pezzo che uscì fu (a detta di chi lo lesse, non mia) strepitoso. Il merito non era certo mio. Enio mi aveva così colpito, profondamente scosso, che gli promisi di portargli personalmente il giornale e leggergli il pezzo. Il partigiano Fuoco era cieco.
A pochi giorni dall'uscita, Enio mi chiamò. Per ringraziarmi. Farmi i complimenti. Come se l'articolo parlasse di me. Ancora una volta, rimasi scosso. Ci accordammo: la settimana successiva sarei andato da lui, in Santo Spirito, per fare una passeggiata. Parlare. Per me, un privilegio immenso. Per lui, forse, ancora un pezzetto di battaglia. Come più di cinquanta anni fa.
A poche sere dall'appuntamento, squilla il telefonino. Enio è morto.
Ecco perché non potrei mai essere obiettivo su questo libro, uscito a poco più di un anno dalla scomparsa di Enio, e curato dal validissimo figlio, Alessandro.
Non potrei mai essere obiettivo. E non vorrei nemmeno esserlo. Certe volte, è necessario scegliere da che parte stare. A volte, essere partigiani è un'esigenza.
Ammetto di non poter essere oggettivo nella recensione. Enio Sardelli, il partigiano "Foco", è una persona a cui mi sento legato.
Lo chiamai per un'intervista, nel marzo scorso. Siamo stati tre giorni al telefono. Mi raccontò tanti di quegli episodi da scriverne non un articolo, ma un libro. Una serie di libri, forse.
Il pezzo che uscì fu (a detta di chi lo lesse, non mia) strepitoso. Il merito non era certo mio. Enio mi aveva così colpito, profondamente scosso, che gli promisi di portargli personalmente il giornale e leggergli il pezzo. Il partigiano Fuoco era cieco.
A pochi giorni dall'uscita, Enio mi chiamò. Per ringraziarmi. Farmi i complimenti. Come se l'articolo parlasse di me. Ancora una volta, rimasi scosso. Ci accordammo: la settimana successiva sarei andato da lui, in Santo Spirito, per fare una passeggiata. Parlare. Per me, un privilegio immenso. Per lui, forse, ancora un pezzetto di battaglia. Come più di cinquanta anni fa.
A poche sere dall'appuntamento, squilla il telefonino. Enio è morto.
Ecco perché non potrei mai essere obiettivo su questo libro, uscito a poco più di un anno dalla scomparsa di Enio, e curato dal validissimo figlio, Alessandro.
Non potrei mai essere obiettivo. E non vorrei nemmeno esserlo. Certe volte, è necessario scegliere da che parte stare. A volte, essere partigiani è un'esigenza.
VOTO: 10 e molte lodi
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