martedì 12 gennaio 2010

DOLCI COLLINE DI SANGUE - Mario Spezi - Bur

Trovo Mario Spezi uno dei giornalisti più antipatici che esistano. Lo reputo spocchioso, arrogante, saccente. Uno di quelli che, solo a guardarli, si vede che pensa di sapere tutto solo lui.
Per questo mi piace molto Mario Spezi.
Certo, la mia è anche e soprattutto invidia: legare il proprio nome a quello di uno dei casi più incredibili della storia italiana, il Mostro di Firenze, e legarlo inizialmente in modo quasi casuale, non è certo roba da poco. Insomma: sostituire un collega al giornale per coprire un omicidio che poi diventa il primo della catena… Come definire questa faccenda se non con un giro di parole come: che botta di culo.
Certo, Spezi poi ha pagato anche delle conseguenze, e pure pesanti, molto pesanti. Non so se il gioco sia valso la candela. Secondo me, ma è la mia opinione, sì. Perché in fondo, Spezi non è più un cronista che racconta la storia del Mostro; in qualche modo, ormai, è dentro la storia. Ne fa parte.
A dimostrarlo, il libro “Dolci colline di sangue” (Bur), certo non una nuova uscita, ma una lettura sempre piacevole anche se in seguito sono successo tante altre cose. Ma questa, come si dice, è un’altra storia. Anzi, quasi cronaca.
Con uno stile asciutto e sempre accattivante, di chi sa come si usano le parole e i concetti, Mario Spezi ricostruisce le vicende che scossero Firenze e provincia per tanti anni. Riferimenti a indagini, retroscena, dettagli, articoli di giornale. Insomma, tutto quello che serve per un racconto preciso, ma anche critico, del lavoro degli inquirenti, che Spezi mette in discussione mettendo sul tavolo le proprie argomentazioni, deduzioni, prove e controprove.
Pacciani? Un innocente, un capro espiatorio. Era la “pista sarda” quella buona, per Spezi: è lì che si doveva insistere, è lì che si doveva battere ancora. Almeno secondo Spezi, e, a dire la verità, non solo secondo lui.
Come tutti i libri sul Mostro di Firenze, e questa è una cosa che lascia un po’ di amaro in bocca, ci si perde un po’ alla fine. Di tutti quelli che si sono cimentati nella vicenda, di tutti quelli che affermano di sapere la verità, MAI, MAI uno che si prendesse la briga di fare nome e cognome.
Ecco: questo è ciò che smonta un po’ tutto il libro, per non dire tutti i libri, che affrontano questi argomenti. Perché sembra proprio che perda valore tutto il costrutto; che si sia voluto dimostrare un fatto senza dire il fatto; che si imbastisca un duello finale senza sapere chi vince e chi perde.
Se la verità non esiste, tutti ne possono attingere.
Eppure, da qualche parte, la verità esiste, esiste sempre.

VOTO: tra il 3 e il 9. E ho detto tutto

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