Lo ammetto: i personaggi "seriali" della letteratura mi sono sempre un po' rimasti sui coglioni. Lo so che dovrebbero fare l'effetto contrario. Che uno di dovrebbe affezionare e tutto il resto. Ma non c'è nulla da fare, è più forte di me. Ma la cosa non rappresenta un problema irrisolvibile: basta leggere un libro solo e hai già fatto.
Il commissario Bordelli è il protagonista di una trilogia, mi pare di aver capito. Solo che l'ho capito dopo aver letto Morte a Firenze, un'indagine, forse l'ultima indagine, del commissario fiorentino creato da Marco Vichi.
Il libro funziona. Sì, funziona. Si intrecciano un delitto odioso come solo quello ai danni di un bimbo può essere, un "covo" di fascisti, le dinamiche amorose del burbero sbirro. Ma ciò che più di tutto emerge, dalle pagine del libro, è Firenze. Anzi no: è la Firenze alluvionata. Ed è proprio questo che rende il romanzo di Vichi molto, molto particolare.
Non mi piacciono alcuni passaggi "interiori", che ho trovato anche in altri personaggi dello scrittore fiorentino; mi sembrano, ogni tanto, un po' ripetitivi. Ma si deve ammettere che quando prendi in mano un libro di Vichi, difficilmente lo riponi sullo scaffale senza essere arrivato all'ultima pagina.
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