lunedì 14 dicembre 2009

A SANGUE FREDDO - Truman Capote - Garzanti

Alla fine del libro ho pensato: di chi è il "sangue freddo" di cui il grande Truman Capote parla nel suo capolavoro?
Certo, quello dei due assassini, Perry e Dick, che sterminano una famiglia del Kansas rurale in cerca di una fantomatica cassaforte di cui uno dei due aveva sentito parlare da un compagno di carcere alcuni mesi prima. Legati mani e piedi con una fune, una coltellata alla gola, un colpo di fucile alla tempia. Infanzie e adolescenze difficili, l'odio per tutto il mondo. La disperazione e la disgregazione di luoghi comuni. Il sangue freddo.
Ma il sangue freddo è anche quello dello Stato che decide, dopo un processo sommario, di impiccare i due. Come rammenta uno dei due assassini confessi in attesa del cappio, il vero sangue freddo è quello del boia. Quello del giudice. Quello dei giurati.
Però, forse, il sangue freddo reale e più vero di tutti è quello dell'autore, Truman Capote. Un racconto, il suo, che a metà degli anni '60 uscì sul New Yorker a puntate. Una cronaca spietata, che sta dalla parte di tutti. E, quindi, di nessuno. Il fatto e i personaggi girano intorno a una vicenda sconvolgente da qualsiasi angolazione la si voglia prendere. La sensazione potrebbe essere quella che Capote abbia scelto di raccontare "perché" gli assassini hanno compiuto, a sangue freddo, quel massacro. Forse, alla fine, traspare una certa empatia più con loro che con i giurati che li mandano a morire.
Ecco perché suscitò infinite polemiche, questo libro a puntate, quando i perbenisti americani lo lessero sul leggendario New Yorker. Ecco perché Capote, dopo questo libro, fu investito parimenti da una fama incredibile e da dubbi esistenziali che lo portarono a non pubblicare più una riga.
Esistenziali, sì. Perché, in fondo, A sangue freddo è un libro che parla di esistenze. Esistenze interrotte, stroncate a sangue freddo. La giovane, il padre, la madre. I due assassini. La vita di paese. I giornali. Una rappresentazione più vera del vero, scarna e romanzata, incredibilmente attuale.
E' giusta la vendetta di Stato? Si possono comprendere le motivazioni di gesti efferati? I mostri umani esistono?
Forse, Capote una risposta ce la dà, facendo filtrare tra le parole un senso di umanità, una logica più grande, un'enorme, tragica commedia del vivere in cui noi siamo solo delle piccole briciole di nulla che ruzzolano sulla tavola imbandita della storia.

VOTO: 8 - Leggenda giustificata

mercoledì 9 dicembre 2009

IO C'ERO - Enzo Biagi - A cura di L. Mazzetti - Rizzoli

Vabbè, che si può dire dei libri di Enzo Biagi. Certo non si possono recensire. E ci mancherebbe pure. Mica l'ho mai visto un prete che fa la critica a un'enciclica. Semplicemente, non si fa; semplicemente, non si discute.
Così, non c'è da recensire né da discutere. Solo da imparare. Personalmente, ritengo che Enzo Biagi sia il prototipo del giornalista, l'esempio illuminante, e che i suoi scritti siano la Bibbia per chi vuole fare questo mestiere. Sempre personalmente, ritengo del tutto infondato chi indica Enzo Biagi come "maestro del giornalismo oggettivo": non è vero, le cose non stanno così. Enzo Biagi è diventato un simbolo, uno dei giornalisti più famosi d'Italia e non solo proprio per la sua mancanza di oggettività; una mancanza che però non ha mai significato parzialità, se per parzialità s'intende l'essere "al servizio" di qualcuno. Giornalisti di razza come Enzo Biagi e pochi altri sono quelli che raccontano i fatti, il mondo, le persone e i paesi con i propri occhi. Semplicemente, con onestà: sanno che hanno a disposizione solo i propri occhi, occhi di essere umano, e i propri sentimenti.
Fare una domanda piuttosto di un'altra, dare un taglio piuttosto di un altro. Questo è già fare una scelta personale. La cronaca, l'oggettività, il "terzismo" non esistono. Io diffido da chi si dice "scevro da pregiudizi". Ognuno di noi ne ha: la differenza sta nel dichiararlo apertamente e in modo sincero, onesto, a chi ti legge. Poi ci sono i cantori, quelli che scrivono e pensano su misura e un tanto a parola e che, per quel tanto o poco, sarebbero disposti a scrivere e a pensare qualsiasi cosa e il suo contrario un giorno dopo.
Enzo Biagi e i suoi scritti, raccolti in questo stupendo "IO C'ERO" curato dall'amico di una vita Loris Mazzetti per Rizzoli, raccontano tutto questo; miele per chi vuole ascoltare e imparare. Per gli altri, per i disonesti intellettuali, ci sono sempre i libri di Farina Agente Betulla.

VOTO: 10+ - Ci manchi

martedì 1 dicembre 2009

IL VOHABOLARIO DEL VERNAHOLO FIORENTINO - Stefano Rosi Galli - Romano Editore

Apri una pagina a caso e leggi: “Ave’ ì pantaloni ‘he fanno hulaia”. Altra pagina: “O icchè t’ha mangia’o, pane e gorpe?”. Ultimo esempio: “Dagnene secche!”. Più di 3.000 voci, ognuna con la dizione esatta e la traduzione che certe volte è più comica del modo di dire stesso. Assolutamente immancabile questo volume di Stefano Rosi Galli edito dalla Romano Editore, il “Vohabolario del Vernaholo fiorentino e del Dialetto Toscano di ieri e di oggi” (420 pagine, 12 euro, http://www.romanoeditore.it/).
Una carrellata incredibile di frasi che la maggior parte di noi pronuncia quotidianamente ma di cui spesso si ignora l’origine, se non il significato; e poi personaggi fiorentini che hanno fatto la storia, ricette. Insomma, un vero e proprio vademecum della fiorentinità da “schianta’ dalle risahe!”. Il Vohabolario del Vernaholo fiorentino si struttura proprio come un dizionario: le voci sono raccolte in ordine alfabetico ed introdotte da una nota dell’autore che illustra nozioni fonetiche e linguistiche utili per la lettura, soprattutto per chi fiorentino non è e fiorentino non parla.
Un’operazione culturale che si riassume nel consiglio offerto al lettore direttamente sulla bella copertina del libro: “Custoditelo gelosamente e insegnate il dialetto a figli, nipoti e amici affinché non si estingua”. Ma anche un progetto editoriale di grandissimo successo, per la qualità e l’originalità dell’opera: la prima stampa, di diverse migliaia di copie, è letteralmente andata a ruba in pochissimi giorni.
Se siete dubbiosi e incerti su quale sia il miglior regalo da far trovare sotto l’albero di Natale degli amici o dei parenti, sia che siano fiorentini ma soprattutto se sono di quelli che vi dicono “Ma quanto è ganzo sentir parlare un fiorentino”, il Vohabolario è la risposta ai vostri angosciosi tormenti da shopping prenatalizio.
Quindi, “o nanni”, senza “tiralla pe’ le lunghe”, “dahe retta”: “fahela finiha” di “ave’ paura della gatta gnuda”, che se l’è vero che “ì pizzicagnolo di via dell’Agnolo, gl’aveva un frìgnolo su’ì dito mignolo” e che “ì riso fa bòn sangue”, cercate il Vohabolario del Vernaholo fiorentino e del Dialetto Toscano di ieri e di oggi: c’è da “pisciassi addosso da ì ridere!”.

TRE DOMANDE ALL'AUTORE STEFANO ROSI GALLI

O come t’è venu’o-n’-mente ì Vohabolario?
Peì la nostalgia che c’ave’o della mi’ gente. Icché tu vòi, vive’ lontano a casa a vòrte fa sentì tanto la mancanza di hose quotidiane come le nostre chiacchere, le nostre espressioni ironi’he e irriverenti...

Come t’ha fatto a raccatta’ tutte ‘ste hose?
Con la santa pazienza! Magari ‘un sembra, ma ci son volu’i du’ anni pe’ rimette’ ‘nsieme le 3300 voci che ci son ni libro. E comunque anche con gran passione per il nostro vernaholo e il nostro dialetto che, nonostante abiti in una città così viva e piena di iniziative come Madrid, porto sempre dentro di me con tanto sano orgoglio.

Quale gl’è ì tu’ preferi’o tra i modi di dire?
Uh! Gl’è difficile rispondere a questa, perché a me mi garban tutti... comunque guarda, pe’ rihordà le mì origini e i mì avi, ti cito questa: “Dagli una strizz’a e buttalo ‘n corpo” (pag.222), che ci ripete’a sempre a me e a i’ mi fratello la mi’ nonna quande s’era a ta’ola e la vede’a che si dura’a fatiha a fini’ icché ci s’ave’a nì piatto. Poi c’è anche un’artra che rispecchia bene la logiha fiorentina: “Preciso hòm’un dito ‘n culo!” (pag.312).

VOTO: 8 - A a'enne di 'ose 'osì!