martedì 12 gennaio 2010

I QUATTORDICI MESI - Enzo Biagi (a cura di Loris Mazzetti) - Rizzoli

L’ho già scritto a proposito di altri libri e lo ripeto: la Resistenza, la storia e le storie dei Partigiani per me sono una specie di dimensione onirica. Qualsiasi cosa riguardi i Partigiani per me è irresistibile. Lo so che un giornalista non dovrebbe dire certe cose. Soprattutto, un buon giornalista non dovrebbe ragionare per categorie. Ancora di più di fronte a temi come questi. Ma a me, di queste cose, non me ne frega davvero un cazzo.
Se poi si unisce a questo il fatto che “I quattordici mesi” (Rizzoli) è il libro in cui Loris Mazzetti rimette a posto racconti, brani, ricordi, scritti sull’esperienza partigiana di Enzo Biagi nella brigata Giustizia e Libertà, direi che qualsiasi altro tipo di parola sul libro diventa quasi superflua. Non si può commentare. Che, si commenta la Bibbia?

VOTO: FUORI CLASSIFICA

DOLCI COLLINE DI SANGUE - Mario Spezi - Bur

Trovo Mario Spezi uno dei giornalisti più antipatici che esistano. Lo reputo spocchioso, arrogante, saccente. Uno di quelli che, solo a guardarli, si vede che pensa di sapere tutto solo lui.
Per questo mi piace molto Mario Spezi.
Certo, la mia è anche e soprattutto invidia: legare il proprio nome a quello di uno dei casi più incredibili della storia italiana, il Mostro di Firenze, e legarlo inizialmente in modo quasi casuale, non è certo roba da poco. Insomma: sostituire un collega al giornale per coprire un omicidio che poi diventa il primo della catena… Come definire questa faccenda se non con un giro di parole come: che botta di culo.
Certo, Spezi poi ha pagato anche delle conseguenze, e pure pesanti, molto pesanti. Non so se il gioco sia valso la candela. Secondo me, ma è la mia opinione, sì. Perché in fondo, Spezi non è più un cronista che racconta la storia del Mostro; in qualche modo, ormai, è dentro la storia. Ne fa parte.
A dimostrarlo, il libro “Dolci colline di sangue” (Bur), certo non una nuova uscita, ma una lettura sempre piacevole anche se in seguito sono successo tante altre cose. Ma questa, come si dice, è un’altra storia. Anzi, quasi cronaca.
Con uno stile asciutto e sempre accattivante, di chi sa come si usano le parole e i concetti, Mario Spezi ricostruisce le vicende che scossero Firenze e provincia per tanti anni. Riferimenti a indagini, retroscena, dettagli, articoli di giornale. Insomma, tutto quello che serve per un racconto preciso, ma anche critico, del lavoro degli inquirenti, che Spezi mette in discussione mettendo sul tavolo le proprie argomentazioni, deduzioni, prove e controprove.
Pacciani? Un innocente, un capro espiatorio. Era la “pista sarda” quella buona, per Spezi: è lì che si doveva insistere, è lì che si doveva battere ancora. Almeno secondo Spezi, e, a dire la verità, non solo secondo lui.
Come tutti i libri sul Mostro di Firenze, e questa è una cosa che lascia un po’ di amaro in bocca, ci si perde un po’ alla fine. Di tutti quelli che si sono cimentati nella vicenda, di tutti quelli che affermano di sapere la verità, MAI, MAI uno che si prendesse la briga di fare nome e cognome.
Ecco: questo è ciò che smonta un po’ tutto il libro, per non dire tutti i libri, che affrontano questi argomenti. Perché sembra proprio che perda valore tutto il costrutto; che si sia voluto dimostrare un fatto senza dire il fatto; che si imbastisca un duello finale senza sapere chi vince e chi perde.
Se la verità non esiste, tutti ne possono attingere.
Eppure, da qualche parte, la verità esiste, esiste sempre.

VOTO: tra il 3 e il 9. E ho detto tutto

NERO DI LUNA - Marco Vichi - Guanda

Non conoscevo Marco Vichi, e sono sempre stato piuttosto restio rispetto agli scrittori “localisti”, che si possono identificare con una città, un paese, un territorio. Questione di gusti, ci mancherebbe: solo per fare un esempio, Montalbano, a me, non piace.
Poi ho comprato “Nero di Luna”. Credo che a colui che ha creato la nuova linea grafica delle copertine dei romanzi Guanda dovrebbero fare un monumento in oro massiccio, e spero vivamente che prenda un sacco di soldi perché davvero il suo lavoro lo sa fare. Molto, molto bene.
Insomma: ho comprato Nero di Luna e me lo sono letto. La storia non è certo uno di quei capolavori che ti tengono col fiato sospeso, ma si fa leggere piacevolmente. Ok, lo scrittore che si ritira nella casa di campagna in cerca di ispirazione, il paese, fatti strani, forse un lupo mannaro, un paio di segreti qua e là e, ovviamente, una bella donna, forse sono ingredienti un po’ inflazionati. Tutto ciò però non può certo far dire che il tempo passato a leggere questo romanzo sia tempo sprecato. Anzi.
Anche la scrittura… Be’, non sono riuscito a capire da subito se mi piacesse o meno il modo di scrivere di Vichi, di cui non avevo mai letto niente. In alcune parti l’ho trovato un po’ annacquato. Ma nell’insieme, direi che è un libro che può tranquillamente piacere. Anche perché fornisce, finalmente, un’immagine del Chianti ben diversa da quella stereotipata del cipressino sul cocuzzoletto con la casina e il filo di fumo dal camino.

VOTO: 6,5 ma più verso il 7 che verso il 6