lunedì 15 marzo 2010

LA LEGGE DI LUPO SOLITARIO - Massimo Lugli - Newton & Compton

Confesso, ok. Va bene. Confesso. Sono uno di quelli un po' dementi che quando per caso leggono un libro che gli piace, è facile che prendano e si comprino tutta l'intera produzione di quello scrittore lì. L'ho fatto in modo del tutto sconsiderato più volte nella vita. A volte è andata abbastanza bene, come nel caso di Chuck Palahniuk. Altre un po' meno.
Un paio di post fa potete trovare la recensione de "Il Carezzevole" di Massimo Lugli. Subito, sono corso a prendermi gli altri due lavori letterari del cronista di nera. Tempo dieci ore e mi sono scolato "La Legge di Lupo Solitario". Il che mi conferma che Lugli mi piace assai. Ho letto i due libri in meno di due giorni. Cosa mai successa prima.
Lupo è un barbone fattone asociale che gira per Roma con un coltello in tasca quando va bene, con un chiodo arrugginito quando va un po' meno bene. La sopravvivenza sulla strada è un casino. L'unico culo a cui si tiene è il proprio, non c'è spazio per la moralità, non c'è spazio per la condivisione, o per qualche sentimento. Lupo vive in mezzo a reietti e, pur essendo un reietto lui stesso, rivendica una sorta di coscienza di classe degli ultimi, un modo senza regole o, forse, con più regole di tutti gli altri. Regole in qualche modo condivise, rispettate. Imposte. Un mondo decadente, a pezzi, che si scontra con quello di chi vive nel lusso, con un lavoro, con una villa, con l'oro e i gioielli. I signori, i dottori, le signore... Oltre la facciata, oltre la sovrastruttura, quello siamo e quello rimaniamo: esseri viventi in lotta per la sopravvivenza. E spesso, quelli che indossano le maschere quotidiane del benessere hanno bisogno dei reietti. Forse perché tutti veniamo da lì. Forse, perché semplicemente c'è chi vince, c'è chi perde.

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