lunedì 8 febbraio 2010

IL GIOVANE HOLDEN - J.D.Salinger - Einaudi

Lo ammetto senza problemi: quando devo leggere un libro che più che un libro è una reliquia, mi prende una paura boia. È quella stessa paura che ti prende davanti a un piatto di lasagne, quell'angoscia pura e semplice che ti stringe allo stomaco quando scopri che non sono lasagne normali ma, che ne so, lasagne alle verdure. Tu resti di stucco e ti disperi, dentro di te. Non avevo mai letto Il giovane Holden, così come non ho mai letto Il piccolo principe, così come ho letto altri pezzi come L'Idiota solo all'ormai veneranda età di quasi trenta anni. Li ho tutti, sugli scaffali, ma non li leggo.
Ora, sulla spinta emotiva della scomparsa di J. D. Salinger, ho preso il suo capolavoro tra le mani. Dico la verità: non avevo la minima idea di cosa si parlasse in quel libro. Ridico la verità: anche ora non ne ho tanta idea. Sì, ok, la storia del ragazzo, dell'acchiappatore nei campi di segale, del rifiuto della società data... Sì, sì, va bene: ma poi? Dice: ma a quei tempi era un libro rivoluzionario. Va bene anche questo. Lo so, anche solo parlare in quel modo, scrivere un linguaggio del genere, a quei tempi era una rivoluzione. Lo so, lo so. Ma poi?
Ecco perché certi libri, certi film, certe canzoni entrano nella leggenda: perché non ci si capisce un cazzo. E se non ci si capisce un cazzo, ognuno può appiopparci il significato che vuole, dal più banale al più sofisticato. Ho l'impressione che questo genere di libri sia quasi fatto apposta per durare in eterno, perché in eterno se ne cercherà il significato "vero". Ma se il significato "vero" non c'è, come si fa?

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